Il giorno della gara la sveglia suona presto, poco prima delle 6:00. Scendo velocemente in sala ristorante per anticipare i tempi e per cercare di mettere qualcosa di sostanzioso sotto i denti, ma oltre un simil pane con del burro e dei biscotti secchi portati dall’Italia, non vado. Si parte direzione stadio da dove partirà la maratona. Sono le 7:20. Arriviamo e l’emozione è grande perchè sin da lontano intravediamo gli spalti che già alle 8:00 del mattino sono gremiti all’inverosimile. C‘è da ricordare che lo stadio nord coreano è il più grande al Mondo. Siamo diligentemente divisi in fila per otto (in Italia quando una cosa del genere?) e in modo così unico come preciso sfiliamo lungo la pista mentre il pubblico applaude festoso. Tutti noi siamo suddivisi per gruppi in base alla gara che correremo. Il Primo ministro dello sport fa una breve presentazione di quelli che definisce giochi, naturalmente in lingua coreana, ma un’ interprete scandisce il tutto parlando poco dopo in lingua inglese. Alla conclusione, il pubblico si rivolge verso la bandiera del Paese che è issata in cielo: e’ il momento dell’ inno al quale tutti noi rivolgiamo particolare attenzione perche non viene cantato, ma nel silenzio più inusuale viene ascoltato. Puntualissima la gara alle ore 9:00 e dopo neanche 500 metri mi accorgo, così come era stato per l’inno, del silenzio che regna tra la città nonostante il pubblico fosse comunque riversato in strada. Un silenzio che piace alle mie orecchie e mi permette di tenere quel ritmo immaginato prima di partire. Nonostante che in tanti si fossero coperti per il gran freddo e il forte vento soprattutto decido di partire con canottiera e manicotti e la scelta si presenta quasi saggia. I primi quindici chilometri filano lisci, da qui al passaggio della mezza-maratona un freddo e forte vento contrario mi assale creandomi non pochi problemi allo stomaco che riesco comunque a contenere stando al fatto che i bagni erano ogni 10-12 chilometri e che era severamente vietato fermarsi lungo la strada. Al giro di boa per fortuna si rifiata un po’ e sfruttando di un po’ di vento a favore raggiungo un ragazzo, che non avrà avuto più di sedici anni, anch’esso impegnato nella lunga distanza che da quel momento in poi diventerà il mio migliore amico per i restanti quasi venti chilometri. Tra il silenzio del poco pubblico nelle larghe strade desolate arriviamo al trentacinquesimo chilometro e inizia a piovere forte. Freddo, vento contrario e pioggia il giusto compromesso per farmi rallentare, ma senza demordere, vedendo da lontano l’Arco di trionfo al quale è collegata l ingresso alla pista dello stadio, aumento gradualmente il ritmo fino ad entrare in quello che mi darà la possibilità di tagliare ancora una volta il traguardo di una bella quanto sudata maratona. Alzo le braccia al cielo e in 3h12m55s sono ancora una volta FINISHER. Nel post gara cerco riparo dal freddo e una bevanda calda per scaldarmi un poco. Ho le braccia fredde, le dita come a non sentirle, mi ci vorrà un po’ prima del completo ripristino. Mi cambio dalle cose bagnate e puntuali come da regolamento dopo le 4h30m di gara chiudono le porte dello stadio dando inizio ad una cerimonia che vedrà premiati tutti i primi 3 maschi e femmine di tutte le gare corse. Il pubblico rimane lo stesso che avevamo trovato inizialmente, fantastico. Si torna in hotel, un pranzo veloce, doccia, checkout e in aeroporto, dove, ci attenderanno tante e tante ore di volo. La Maratona di Pyongyang rimarrà in me per l’esperienza di vita vissuta in un stato che vuol farsi conoscere, ma che, per ovvie circostanze, viene a noi presentato non come io l’ho vissuto!
Massimo Ciocchetti